Il nome della rosa di Mananara | Vol. 1


La traduzione grafica che Milo Manara sta compiendo de Il nome della rosa di Umberto Eco è imperdibile.

Nel primo volume dedicato al capolavoro di Eco, Manara ha concentrato l’attenzione sull’azione investigativa del protagonista (quel Guglielmo da Baskerville che molto deve a Sherlock Holmes anche nel nome), tralasciando le dispute filosofiche ed ermeneutiche che nel romanzo tengono a lungo impegnati i personaggi principali.


La trama, quindi, è costruita per porre in massima luce le doti di investigatore-ragionatore del protagonista (a cui Manara dona le sembianze di Marlon Brando), affiancato da Adso da Melk, giovane apprendista che, al pari di Watson, prende nota di ciò che avviene e lo rende pubblico.


Non mancano, però, le digressioni storiche, come quella corposa dedicata alla vicenda di fra Dolcino che, come i lettori del romanzo certo ricordano, ha legami stretti con alcuni dei monaci presenti nell'abbazia in cui si svolge l’azione.

E per narrare tali digressioni, Manara sceglie di non usare il colore, ma affidarsi solo al tratto.


Un colore, quello delle tavole di Manara, da toni tenui e bruni, quasi “castigati”, come si addicono sia al luogo monastico, sia al Medioevo così come comunemente lo si immagina.


Colori che, peraltro, virano ai grigi nella rappresentazione delle architetture.

Esse sono maestose e fredde e trasmettono nel lettore/spettatore un senso di isolamento e gelo, specchio di quella solitudine e freddezza in cui vivono i corpi repressi e forzatamente casti di alcuni monaci.


Il colore, però, torna prepotente, vivo e caldo nelle tavole che chiudono il primo volume: esse, non a caso, sono dedicate alla scoperta del corpo della Donna fatta da Adso nelle cucine dell’abbazia.

E Adso non può che inginocchiarsi di fronte alla visione paradisiaca che le forme muliebri gli offrono.


Una “chiusa d’atto” in puro stile Manara.


Il nome della rosa è disponibile su Amanzon

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