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Visualizzazione dei post da settembre, 2005

Le madri dei grandi

Le madri dei grandi di Isabelle Garnier ed Hélène Renard edito da Edizioni Messaggero mostra come spesso le madri dei grandi personaggi non furono anche grandi madri.  Dei 64 ritratti di genitrici contenuti nel libro, infatti, molti sono di donne che preferirono dedicarsi ad altro, piuttosto che ai propri figli.  Madri che sentirono più il loro destino di donne che non quello di madri e preferirono inseguire un sogno di gloria o il proprio marito fuggito chissà dove.  Ma molte delle donne ritratte nel libro furono davvero grandi madri, nel senso che videro il compimento del loro destino proprio nell’essere mamme.  Con ciò non si vuole certo dire che una donna, per realizzarsi, deve essere necessariamente una madre. Si vuole affermare, invece, che una genitrice diventa grande se, costretta dagli eventi, riesce ad anteporre il proprio figlio a se stessa, dimostrando con questo un grande spirito di sacrificio.  Le due autrici – è giusto chiarire – ...

Corpo picchiato, svestito | e picchiato ancora, baciato

Gandolfo Cascio in Admeto canta un amore omosessuale intenso e ai limiti. Un amore carnale, fatto di tenerezze e violenze fisiche. Un amore che dice il suo nome e ne paga le conseguenze: «Ho confessato al mondo il mio | amore, e ho preso senza urlare, | senza piegare il capo la mia parte | d’ingiurie». Ma la comunità, in Admeto , più che giudice è, in realtà, spettatrice: uditrice delle lodi cantate dal poeta in onore dell’oggetto del suo amore. «Che faccio quando sei assente? | Ciò che farebbe ogni uomo: scrivere | di te e su antiche musiche danzare». Il perché di tanta devozione è presto detto: l’uomo amato dal poeta è da lui considerato alla stregua di un dio, un sovrano cui piegarsi e di cui cantare le lodi. E non è un caso che, in Admeto , tornino parole e immagini che richiamano la sacralità: «Il suo bacio è sostanza al mio | corpo e io mi piego a lui come servo al sovrano | e lui come Cristo che lava i calcagni». Ma, si badi, qui la sacralità è una cos...

La luna e i falò

Cesare Pavese scrisse il romanzo La luna e i falò nel 1950, anno del suo suicidio, ma, contrariamente a quanto potrebbe far pensare l’atto estremo che Pavese compì, l’ultima sua storia non parla della ricerca della morte, ma di quella della vita: ricerca delle proprie origini, ma anche ricerca di una vita diversa, migliore.  L’io narrante del romanzo, infatti, torna al paese dove è cresciuto perché vuole ritrovare le proprie origini, origini di «bastardo». Egli è assolutamente consapevole di non essere materialmente nato in quel paesino, ma lì torna, perché è lì che sente di essere veramente a casa. Lì ha passato un’infanzia difficile (per la miseria, per la propria condizione di «bastardo», per il duro lavoro di contadino praticato fin da subito); da lì è fuggito al raggiungimento della maggiore età in cerca di una vita migliore, ma lì torna, spinto dalla necessità di riallacciare il legame che lo unisce alla “sua” terra. Un legame cementato dal ricordo.  Una terra che Le...

Capote intervista Brando

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Nel 1956 Truman Capote intervistò Marlon Brando che si trovava in Giappone per girare gli esterni di Sayonara .  L’intervista uscì nel 1957 sul «The New Yorker» con il titolo The Duke in His Domain ( Il Duca nel suo dominio , Mondadori). Capote immerge Brando in uno scenario “di cartone”, bidimensionale: un Giappone molto di maniera, fatto di camerierine in chimono e servitori sempre sorridenti, un Paese dove «la ridarella […] nasce senza motivi apparenti».  Una bidimensionalità anche verbale, dove la “tridimensionalità” del suono “rl” di Marlon viene livellata in una dolce bidimensionalità di una doppia “rr”: i giapponesi, infatti, chiamano il divo americano Marron.  Il Giappone post-atomico non esiste nell’esperienza di Capote-Brando: non c’è sofferenza, tragedia, malattia, ma solo sorrisi e accoglienza per gli americani in visita (che, pare non essere mai stati dei nemici di guerra…). Ovviamente, c’è una spiegazione del perché un grande come Capote usi tale ...