Il gioco che unisce
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Un bancone lungo quasi quanto tutto il palcoscenico divide in due lo spazio, ma, soprattutto, separa i due attori: dietro il bancone il portiere di notte; davanti a esso il cliente. Il bancone, quindi, traccia una linea di separazione; un confine tra i corpi. Uno sbarramento che pare invalicabile, ma che, in un paio di occasioni, sembra vacillare. Da una parte, dunque, il portiere di notte. Figura fisicamente presente, ma mentalmente assente: annoiato e insonnolito. Dall’altra parte il cliente. Un giocatore d’azzardo incallito che sostiene di aver visto tempi migliori, ma che, ora, è costretto, da una fortuna avversa, a sbarcare il lunario. A tentare di oltrepassare la barriera-bancone ci prova il cliente che racconta al neoassunto portiere di notte di Hughie, il vecchio portiere, deceduto da poco a causa di una malattia. Un lungo “canto funebre” che traccia di Hughie il ritratto di un uomo scialbo e senza qualità. Ma non è tanto quello che di Hughie racconta che interessa: il vero ful