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Visualizzazione dei post da marzo, 2010

Straniero o turista

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Di un paese si può essere straniero o turista. Lo straniero può essere accolto o sfruttato ed emarginato. Il turista, in genere, è accolto perché si è certi della sua partenza. Si può essere stranieri nella propria stessa terra, così come si può arrivare in un Paese da turista e decidere di eleggere tale luogo a Patria. Nell’ Aggancio che Serena Sinigaglia (anche regista dello spettacolo) ha tratto dal romanzo di Nadine Gordimer si parla di tali questioni e anche di altro, con un ritmo veloce, fatto di scene brevi in cui i due personaggi protagonisti si scambiano poche, ma significative, battute o narrano al pubblico i propri sentimenti. I due personaggi sono un povero uomo del Sud del Mondo che emigra per trovare fortuna e una ricca donna europea che cerca un modo diverso di vivere.  Si incontrano e tra loro sboccia l’amore.  Ma per lui non c’è spazio nella grande Europa e, quindi, ricevuto il decreto di espulsione (o meglio, di “rilocalizzazione”) i due devono scegli

Le parole non sono sufficienti

Confrontarsi con i capolavori della letteratura non è facile. Ugo Chiti ha voluto lavorare sulle Metamorfosi di Kafka e ha riscritto il capolavoro da un punto di vista alternativo, confezionando un testo teatrale davvero bello. Al centro del testo di Chiti non c’è Gregor (come nel testo originale), ma la domestica della sua famiglia il cui nome dà il titolo alla pièce: Le conversazioni di Anna K. Anna è una donnetta del popolo con la parlantina facile, che non si ferma di fronte alle avversità della vita, ma le affronta con coraggio e determinazione tanto da essere in grado di superare l’orrore e la repulsione che, comprensibilmente, prova di fronte all’enorme ripugnante animale in cui si è trasformato Gregorio.  Anzi, con il nuovo essere (l’autore non dice mai apertamente in cosa si sia trasformato il ragazzo, anche se si comprende essere lo scarafaggio kafkiano) Anna intraprende un lungo monologo, nella convinzione che l’ex ragazzo possa comprenderla. Diversamente da lei, la fami

Una guerra di giovani

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«Ragazzi, noi tre assieme si fa sessant’anni più o meno. Sessant’anni per morire sono pochi anche per un uomo solo. Per tre sono veramente una cazzata…». Così parla il partigiano Fausto (il bravo Giorgio Noè ) prima di farsi saltare in area assieme ai due nazisti che lo hanno catturato, facendo esplodere le 4 bombe che tiene nella tasca; le 4 bombe che danno il titolo al nuovo bellissimo lavoro di Ugo Chiti (anche regista dello spettacolo presentato al Teatro di Colognola, all’interno della rassegna Altri percorsi del Teatro Donizetti).  E, forse, una delle battute-chiave di tutto il testo è proprio quella pronunciata da Fausto prima di morire: la guerra, qualsiasi guerra, è una cosa orrenda, ma ciò che la rende ancora più orrenda è il fatto che a spararsi da una parte e dall’altra ci siano dei giovani, coloro che dovrebbero avere altri pensieri per la testa, primo fra tutti l’amore.  Non è un caso, allora, che l’unico nazista di cui si mostri il volto alla platea sia quello del Tene

Mine vaganti

Mine vaganti di Ferzan Ozpetek è un capolavoro. Il film, sceneggiato dal regista stesso e dallo scrittore Ivan Cotroneo , racconta di come, in Italia, il condizionamento sociale e la paura di ciò che la gente può dire possono far vivere davvero male.  Tutti i personaggi appartenenti al nucleo familiare dei Cantone, infatti, per una ragione o per l’altra, non vivono appieno la loro vita. Una famiglia, quella dei pastai Cantone, composta da una nonna che ha sposato un uomo che non amava e ha vissuto nel ricordo di colui cui aveva dato il cuore; da Luciana, la zia zitella, che affoga nell’alcool la sua solitudine e la nostalgia di un’altra vita solo assaporata durante una fuga a Londra; dalla madre Stefania che vive nell’incubo delle convenzioni borghesi; dal padre Vincenzo soggiogato dagli stereotipi da maschio del sud e dai figli Elena (cui si impone un destino da casalinga), Antonio e Tommaso che reprimono la loro vera natura sessuale per non dare un dispiacere alla famiglia. Una f

Magistrale DiCaprio

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Shutter Island di Martin Scorsese è un gran bel film. Tratto dal libro omonimo di Dennis Lehane , il regista e gli sceneggiatori (Laeta Kalogridis e Steven Knight) hanno rispettato la trama narrata nel romanzo, tralasciando alcuni episodi secondari (ad esempio tutti quelli relativi all’infanzia del protagonista), per rendere il film più serrato e tutto ambientato nell’isola trasformata in manicomio criminale. Un manicomio degli Anni Cinquanta che si rivela avere due facce: quella pulita e all’avanguardia dei padiglioni A e B (divisi per sesso, nei quali i pazienti sono invogliati a partecipare a terapie di gruppo e ai quali si arriva anche ad assegnare dei lavori, come la manutenzione del giardino) e quella asfittica e sporca del padiglione C (nel quale sono segregati i soggetti più violenti che, in preda alla follia, scrivono sui muri con il proprio sangue o vegetano nella propria cella sporchi e nudi). Una duplicità di trattamento che rimanda a diverse ipotesi me

La Shutter Island italiana

Shutter Island , il bel romanzo di Dennis Lehane , ha ispirato la graphic novel omonima di Stefano Ascari (sceneggiatura) e Andrea Riccadonna (disegni), da febbraio scorso in libreria per i tipi delle Edizioni BD. Come ci si aspetta dal genere, la graphic novel presenta il romanzo originale in modo assai “prosciugato”: diretta e concisa, tiene i fatti salienti ed elimina tutto il resto. Lo sceneggiatore usa, quasi alla lettera, molti dialoghi originali e, solo pochissime volte, riassegna ad altri personaggi ciò che, nel testo originale, era affidato ad alcuni comprimari. La scelta è dettata dalla necessità proprie del genere fumettistico e pare sempre appropriata. Il tratto del disegno che riproduce la realtà è chiaro e punta molto sui primi piani e, a volte per intere sequenze, sui dettagli: il senso che si percepisce è quello del confronto/scontro tra i personaggi e della velocità del loro scambio dialogico. Il disegno, invece, delle parti oniriche (affidato a Maurizio Ros

L'isola della follia

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Shutter Island ( L'isola della paura nella traduzione italiana) di Dennis Lehane è un piccolo gioiello letterario che va ben oltre i limiti del “genere thriller” con il quale è stato etichettato. Infatti, il romanzo, narrando l'indagine condotta dal protagonista su un'isola trasformata in un manicomio criminale nel quale sono rinchiusi (shutter) pazzi paranoici particolarmente violenti, mostra ai lettori il labile confine che separa la follia dalla sanità mentale, la realtà dalle allucinazioni paranoidi. Un manicomio, quello di Shutter Island, nel quale vengono effettuati sui pazienti esperimenti non convenzionali che tentano di affrontare le malattie mentali in maniera differente da quanto fatto fino allora (la vicenda si svolge nell'America perbenista degli Anni Cinquanta, appena uscita dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale e in preda alla fobia del comunismo). La via che si cerca, infatti, pare poter essere qualcosa di diverso sia dall'intervent

Profetico Sciascia

La notte delle lucciole che Roberto Andò e Marco Baliani hanno tratto dai testi di Leonardo Sciascia è un mosaico non del tutto riuscito: se, infatti, alla fine emerge dal disegno la figura di Sciascia uomo di cultura e politico (fu parlamentare per il Partito Radicale) che, a posteriori, si può definire profetico, alcune tessere, però, compongono quadretti che sembrano non amalgamarsi completamente con la figura principale.  Forse il risultato è dovuto alla contraddittorietà di Sciascia o, meglio, alla sua dichiarata contraddittorietà.  O, forse, la volontà di mostrare le molte facce che costituiscono, inevitabilmente, il lati di una figura complessa come fu Sciascia hanno opacizzato, piuttosto che illuminare, il racconto. Ciò non toglie che lo spettacolo è intenso e non privo di momenti assai suggestivi. Interessante è il ricordo che Sciascia ha di Pasolini : un amico dal quale lo divideva una sola parola: “adorabile”.  Infatti ciò che Pasolini trovava adorabile (la spontaneità

Il Promemoria di Travaglio

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L’editore Promo Music ha pubblicato a inizio 2009 libro + DVD dello spettacolo teatrale Promemoria. 15 anni di storia d’Italia ai confini della realtà di e con Marco Travaglio . Il libro è il testo dello spettacolo con l’aggiunta di qualche dettaglio tralasciato, per comprensibili ragioni, durante la narrazione in palcoscenico. Il DVD, ovviamente, è la ripresa dello spettacolo. Va detto che Travaglio racconta l’Italia da Tangentopoli a oggi e la narrazione è viva e mossa e piena di umorismo come tipico del Travaglio televisivo, quello degli editoriali di Anno Zero. E, come per gli editoriali televisivi, Travaglio non scende in profondità, non scava nell’archivio, come fa in alcuni dei suoi volumi pieni di citazioni, ma riporta (citando spesso) fatti e misfatti della classe politica italiana, da Berlusconi alla sinistra degli inciuci, tenendosi più o meno in superficie (ossia in quella zona della cronaca più o meno nota anche agli spettatori non avvezzi alle carte processual

La fede che uccide

Corpo di stato di Marco Baliani è un testo spigoloso, i cui angoli acuminati rischiano di tagliare un corpo sociale (il nostro) ancora sanguinolento per le ferite infertegli, nel corso degli Anni Settanta, dal brigatismo rosso e dallo stragismo nero.  Il testo, infatti, rievoca, attraverso il racconto di un uomo qualunque (l’Autore), il clima di quegli anni, l’ansia e il terrore che chiunque poteva provare durante gli Anni di Piombo. Il titolo Corpo di stato rimanda sia ai corpi martoriati di Aldo Moro (ucciso dalle BR) e di Peppino Impastato (ucciso dalla mafia lo stesso giorno in cui fu assassinato lo statista), sia al vero e proprio colpo di stato così come, pronunciato in romanesco al mercato rionale, risulta foneticamente (ovvero  dal colpo al corpo ). Lo spettacolo presentato ieri al pubblico bergamasco riunitosi al Teatro Donizetti ha visto in scena Baliani raccontare di sé.  L’attore non ha, infatti, frapposto tra sé e gli spettatori nessuna “membrana” di sicurezza, com

Il Donizetti applaude lo straniero di Baliani

La stagione teatrale del Donizetti finisce in bellezza con uno spettacolo intenso e suggestivo: Lo straniero da Camus della coppia Maglietta-Baliani , rispettivamente regista e interprete ed entrambi autori della drammaturgia.
 A proposito di quest'ultimo aspetto dello spettacolo, va detto subito che il romanzo di Camus è rispettato solo relativamente al plot narrativo, ma completamente stravolto per quanto  attiene la linearità della cronologia degli avvenimenti: in Camus, infatti, la storia ha un inizio, uno svolgimento e una fine consequenziale; mentre nel testo di Maglietta-Baliani un episodio entra nell'altro senza un nesso cronologico.  Il risultato, paradossalmente, segna un punto a favore dei due adattatori che, così  facendo, hanno reso più comprensibile la storia del protagonista. 
 Per gli aspetti più propriamente attinenti allo spettacolo, si dirà solo che la Maglietta ha creato uno spazio scenico letteralmente sospeso nel vuoto che decontestualizza la storia rend

La difesa della propria identità contro la tentazione del potere

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Una partitura per voce e orchestra, questo è Ombre che Marco Baliani ha tratto dal racconto La storia meravigliosa di Peter Schlemihl di Adalbert von Chamisso .  
L'orchestra, è vero, non c'è.  Ci sono le percussioni di Maurizio Rizzato , la voce suggestiva di Renata Mezenov Sa e la strumentazione elettronica di Mirto Baliani .  Il risultato dell'amalgama di questi tre elementi è un sottofondo a metà strada tra il rumore di scena e la colonna sonora di un film orientale, fatta di una musica che conosciamo a livello inconscio e che all'inconscio si rivolge.  Forse è la presenza tangibile delle percussioni, come di rito atavico, come di elemento della natura che fa quasi parte del nostro bagaglio genetico.  E così, quando il diavolo vestito di grigio si presenta per la prima volta al protagonista, non ci sembra una stravaganza il fatto che, a livello sonoro, la sua presenza venga "creata" sia con il percuotere uno strumento immerso nell'acqua, sia con la

Kohlhaas

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Il confine tra legittimo desiderio di giustizia e sete di vendetta a volte può essere labile e dall’uno si può passare all’altro senza neppure accorgersene. La colpa del travalicare dall’uno all’altro sentimento, spesso, non è di chi il passaggio compie, ma di chi il passaggio induce (involontariamente) a compiere.  Ovvero, laddove la giustizia non è garantita, ecco che il pericolo che si passi alla vendetta diventa, giorno dopo giorno, più concreto. In Kohlhaas , narrazione teatrale che Remo Rostagno e Marco Baliani hanno tratto dal racconto Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist , si narra proprio un caso di passaggio dalla ricerca di giustizia all’esecuzione di una vendetta.  Vendetta che diventa insurrezione popolare, o, forse, sarebbe il caso di parlare di vera e propria rivolta.  Ma dipende dai punti di vista: insurrezione per coloro che i soprusi compiono; rivolta per coloro che gli stessi soprusi subiscono. Nel testo i due autori puntano l’attenzione su parole