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Visualizzazione dei post da marzo, 2011

Egoisti in cerca di affetto

È un susseguirsi di scene brevi La malattia della famiglia M. di Fausto Paravidino (anche regista e interprete) nelle quali i personaggi sono impegnati in dialoghi pieni di significato che, al contempo, fanno progredire la vicenda verso la “catastrofe” e aiutano a delineare meglio il carattere del personaggio che li pronuncia. Un testo, dunque, in cui il dialogo (veloce e non esente da battute ironiche, quasi aspre) è tutto, tanto che i luoghi in cui i personaggi si parlano sono definiti da una panchina (che funge anche da studio del medico) e dal tavolo dalla cucina di casa M., ovvero luoghi in cui si sta seduti e, appunto, si parla. Non è un caso, quindi, che l’unica scena in cui l’azione ha il sopravvento (quella della scazzottata tra Fabrizio e Fulvio) sia, non solo raccontata in flashback, ma anche agita dagli attori al rallentatore (dunque in qualche modo visivamente isolata dal resto). Resta il fatto che, anche in questa “scena d’azione”, ciò che emerge

La trasgressione tranquillizzante di Paolo Poli

Paolo Poli è davvero un artista che non ha bisogno di presentazioni per chi frequenta le sale teatrali: egli è un pezzo del teatro italiano. Ieri sera Poli ha interpretato al Teatro Donizetti di Bergamo il suo Il mare , tratto da alcuni scritti di Anna Maria Ortese , prima di tutti Il mare non bagna Napoli . Si tratta di uno spettacolo di cui si stenta a capire il filo conduttore.  Esso, infatti, è costituito da una serie di monologhi e scene dialogate intervallati da canzonette la cui attinenza con quanto le precede sembra nulla.  Il testo, infatti, narra di vicende a tratti davvero tragiche, mentre le canzonette sono, appunto, canzonette lievi lievi. Ma chi, oggi, va a vedere Paolo Poli sicuramente non è spinto dalla voglia di conoscere un testo, ma da quella di vedere come Poli lo interpreta e, più o meno, lo “stravolge”.  In altre parole, Poli potrebbe recitare anche l’elenco del telefono che non avrebbe grande importanza: la curiosità potrebbe essere tutta nel vedere come

Il mal di vedova si cura a letto

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Ieri sera, nel giorno della Festa della donna, è andato in scena al Teatro Donizetti di Bergamo lo spettacolo Dona Flor e i suoi due mariti tratto dal fortunato romanzo di Jorge Amado . Si tratta, sostanzialmente, di uno spettacolo di donne in cui gli uomini, per una ragione o per l’altra, non giocano una partita fondamentale, ma restano un po’ sullo sfondo. La drammaturgia e la regia erano firmate da Emanuela Giordano che ha composto uno spettacolo dai ritmi serrati, gradevole, comico senza essere sguaiato. La storia è presto detta: Dona Flor resta vedova del primo marito (un uomo dedito a piaceri sregolati) e, dopo un anno, si risposa con un altro uomo (tutto ordine e regolarità). La donna riesce a raggiungere la felicità solo quando nel nuovo talamo nuziale si materializza anche il primo marito: in tal modo potrà godere dei due uomini e di ciò che ognuno di loro le dona: la stabilità il secondo marito; la fantasia erotica il primo. Accanto a Dona Flor, e in suo favore, agiscono le

Gadda borderline come Amleto

L’ingegner Gadda va alla guerra da un’idea di Fabrizio Gifuni è un testo che alterna vari scritti di Carlo Emilio Gadda con l’Amleto di William Shakespeare .  In particolare, dell’autore milanese si tengono presenti come guida e filo conduttore della narrazione i suoi privati Diari di guerra e di prigionia nei quali descrive la logorante vita di trincea e l’avvilente prigionia in mano al nemico. Il ritratto che, in tal modo, emerge è quello di un giovane Gadda costantemente ai limiti della follia, un borderline che ha seri e preoccupanti momenti di sconforto, alternati con altrettanti lucidi stati di raziocinio, durante i quali analizza nel dettaglio la pessima situazione in cui versano i soldati italiani al fronte. Durante i momenti di “follia” Gadda sembra assomigliare ad Amleto: come il personaggio di Shakespeare vive sul confine tra pazzia e lucidità (e non si sa con quanta coscienza) e come lui ha una questione irrisolta con la madre.  È proprio la parola “