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Visualizzazione dei post da marzo, 2009

Contro natura a chi?

Contro natura. Una lettera al papa di Francesco Remotti edito da Laterza è un libro che non si esita a definire fondamentale. In esso Remotti affronta varie tematiche, spinto dall'esigenza di ricordare a papa Benedetto XVI come la di lui lotta contro il relativismo e i quotidiani attacchi alla diversità (si usa il termine in modo estensivo) siano atteggiamenti pericolosi, oltre che miopi e dettati da considerevole ignoranza.   Remotti, infatti, nel corso della trattazione, da esimio antropologo quale è, mette in luce come la diversità sia la caratteristica prima del mondo naturale e come non esista una universale legge di natura (e, di conseguenza, come non possa esistere qualcosa che possa essere definito “contro natura”). La Natura e la Cultura sono troppo inscindibilmente legati e intrecciati tra loro perché si possa definire con certezza quanto “in essenza” attiene all'una e quanto all'altra: citando Clifford Geertz, Remotti ricorda che «non esiste una

Un vecchio rompicoglioni

Paolo Villaggio ha presentato ieri al pubblico del Teatro Donizetti il suo Paolo Villaggio. Vita morte e miracoli .  Si tratta di un recital per voce sola nel quale Villaggio (anche autore e regista) racconta soprattutto la sua infanzia e giovinezza in quel di Genova.  Anni passati accanto al fratello gemello, ai genitori, e all'amico Fabrizio (De Andrè) .  Ricordi che non danno luogo a uno spettacolo nostalgico e incline alla commozione, ma a uno spettacolo in cui si ride (e molto) sui vizi e le virtù dell'italiano medio, visti attraverso la vita di una famiglia piccolo borghese. Nel raccontare, Villaggio assume il ruolo del vecchio bilioso e rompicoglioni che non le manda a dire, ma che, anzi, coglie l'occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa.  Esemplare, a questo proposito, il ricordo degli incontri casuali con Eugenio Scalfari : Villaggio racconta, da par suo, come Scalfari abbia, in tutte le occasioni, evitato di salutarlo.  Un aneddoto che dà il via ai

La scena come romanzo

Happy family è una pièce teatrale che finge di essere un romanzo: il suo autore, Alessandro Genovesi , è anche presente in scena, dove recita la parte dell'autore del romanzo che racconta, in prima persona, la propria storia.  Un autore che interloquisce con gli altri personaggi sia in veste di personaggio a sua volta e sia (in qualche modo pirandellianamente) in veste di autore.  Personaggi che, in linea con la tradizione teatrale (e romanzesca), si rivolgono direttamente agli spettatori (lettori) per raccontare loro i propri pensieri, emozioni, paure.  Soprattutto le paure: a inizio di spettacolo (a mo' di "premessa") l'Io narrante ci informa, infatti, che lo spettacolo è dedicato soprattutto a coloro che hanno paura...  Paure che, alla fine, fanno ridere il pubblico, forse scaramanticamente, o forse perché in esse ci si può facilmente riconoscere, chi più e chi meno. Alessandro Genovesi, di Happy family , non è solo l'autore e l'interprete protagonis

I ricordi di una vita

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È una carrellata tra i ricordi lo spettacolo Sillabari che Paolo Poli ha tratto da un testo di Goffredo Parise .  Ricordi melanconici di fatti insignificanti che, però, si sono impressi indelebili nella memoria di chi, anni dopo, molti anni dopo, ancora li narra come se fossero successi da poco.  Ricordi del tutto personali, ma che hanno il merito di raccontare un pezzo d'Italia: quella piccolo e medio borghese delle governanti, delle giovani studiose e di belle speranze, dei giovanotti che scoprono la vita.  Ricordi di tremori d'amore, di rivelazione del corpo, di imbarazzi e di rossori.  E dal racconto di questi ricordi, ne esce il ritratto di un'Italia che arrossisce per un bacio sul grande schermo; di un'Italia che fa finta di non capire la natura degli sguardi che si scambiano due giovani seminaristi (poi divenuti preti); che chiama amicizia quella che, in realtà, è stata una storia d'amore. Paolo Poli racconta tutto con il garbo tipico delle ve

Massimo Dapporto nei Due gemelli

Va da sé che per realizzare bene sul palcoscenico I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni c'è bisogno di un attore protagonista che sappia il fatto suo.  Un interprete in grado di passare dal gemello sciocco (Zanetto) a quello savio (Tonino) in un battibaleno.  Un attore, come Massimo Dapporto (davvero grande), che sappia caratterizzare ognuno dei gemelli con pochi ma significativi tratti: ad ognuno dei gemelli donare un proprio modo di camminare, di parlare, di gesticolare.  E Dapporto, appunto, ha saputo calarsi nei due gemelli da par suo e senza bisogno di cambiarsi d'abito, ma affidandosi alla mimica, alla gestualità, alla modulazione della voce, ha reso ognuno dei personaggi riconoscibile dal pubblico. Il regista Antonio Calenda ha voluto sottolineare la bravura del suo interprete per mezzo di una scena neutra (opera di Pier Paolo Bisleri ) che, con pochi accorgimenti, potesse ricreare un interno borghese e una strada di città (la vicenda si finge in Verona, ma la sc

Quella gran bugiarda di Paolo Poli

È un libro delizioso Siamo tutte delle gran bugiarde , conversazione tra Paolo Poli e Giovanni Pannacci , edito da Giulio Perrone Editore. Un libro che si legge in un soffio e con il sorriso sulle labbra. Definire il volume la biografia del grande attore Paolo Poli è assolutamente improprio e fuorviante: della biografia artistica (e personale) di Poli c'è poco.  Eppure nel libro c'è tutto Paolo Poli: la sua straripante personalità, i suoi incantevoli virtuosismi da civetta, da ballerina di fila (sua celebre auto-definizione), il suo aggraziato sbeffeggiamento dell'ordine costituito, la sua sapiente provocazione al perbenismo imperante, il suo celebre anticlericalismo (“Trovo pessimo che il Papa ogni giorno ci faccia conoscere il suo pensiero”). C'è tutto Paolo Poli e, a ben vedere, non potrebbe essere altrimenti: così come sulla scena i suoi spettacoli sono un tripudio di fantasia tutta riconducibile al suo genio e alla sua vasta cultura, così il libro non

La vocazione del viaggiatore settecentesco

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Federico Di Vita ha la vocazione del viaggiatore settecentesco e dovrebbe seguirla. Lui stesso sembra esserne consapevole al punto che a pagina 126 del suo Cronache da Siviglia , edito da Round Robin, scrive: “Come un gatto preferisco i posti, e l'unica cosa che so fare è scoprirli, girarci dentro. Le persone come le storie si ripetono, e certo che si danno pur delle eccezioni, però mi piacciono di più le descrizioni, così infinite e pure”. Una predilezione che il lettore accorto avverte: Di Vita ama parlare minuziosamente di Siviglia, dei suoi palazzi, dei suoi giardini, delle piante, dei locali... Lo fa con passione, con (in)consapevole poesia: le sue descrizioni hanno poco della cartolina turistica e molto “della vista del cuore”. Si sente che Siviglia è una città che ama ed è capace di farla amare anche al lettore che, magari, a Siviglia non è mai stato. Nel descriverne le bellezze usa una lingua controllata, fluente. Non alla stessa altezza il resto del