Una guerra di giovani


«Ragazzi, noi tre assieme si fa sessant’anni più o meno. Sessant’anni per morire sono pochi anche per un uomo solo. Per tre sono veramente una cazzata…».
Così parla il partigiano Fausto (il bravo Giorgio Noè) prima di farsi saltare in area assieme ai due nazisti che lo hanno catturato, facendo esplodere le 4 bombe che tiene nella tasca; le 4 bombe che danno il titolo al nuovo bellissimo lavoro di Ugo Chiti (anche regista dello spettacolo presentato al Teatro di Colognola, all’interno della rassegna Altri percorsi del Teatro Donizetti). 
E, forse, una delle battute-chiave di tutto il testo è proprio quella pronunciata da Fausto prima di morire: la guerra, qualsiasi guerra, è una cosa orrenda, ma ciò che la rende ancora più orrenda è il fatto che a spararsi da una parte e dall’altra ci siano dei giovani, coloro che dovrebbero avere altri pensieri per la testa, primo fra tutti l’amore. 
Non è un caso, allora, che l’unico nazista di cui si mostri il volto alla platea sia quello del Tenente, interpretato dal bravo, giovane e bello Andrea Costagli
Anche per lui, soprattutto quando studia l’italiano, il pubblico prova simpatia, perché anche lui è un ragazzo che dovrebbe fare tutt’altro che pensare alla guerra…

4 bombe in tasca è un testo corale, un testo che ci dice che la guerra è una cosa sporca, fatta di crudeltà inaudite, di orrende torture ai prigionieri, come quelle che infligge la sadica Lily Shangai (una bravissima Giuliana Colzi) al povero Tizzo (uno strepitoso Massimo Salvianti), il cui cadavere martoriato sarà crocifisso al potale della chiesa con la patta dei pantaloni aperta, perché fosse visibile a tutti lo scempio dei genitali.

Ma si diceva del testo corale di Chiti, una coralità che presuppone delle voci soliste come quelle degli attori già citati, cui vanno aggiunti i nomi di Lucia Socci e Dimitri Frosali
La Socci era Silvana, la donna del partigiano Fausto, che per dare il tempo ai compagni di recuperare il corpo del marito, si lascia, premeditatamente, violentare dai soldati del comando tedesco: una scena che, grazie alla bravura dell’interprete, mette i brividi. 
Frosali era il Biondo, un partigiano che combatte, non perché spinto da motivazioni ideologiche, ma per emulare Tizzo, l’amico di sempre, l’amico che gli parla (e lo salva) anche da morto. 
Ma, in verità, andrebbero citati tutti gli attori dell’Arca Azzurra Teatro, impegnati con uguale valore a far vivere il testo di Chiti. 
L’autore toscano ha costruito un testo che non solo – come si è detto – è corale, ma che è tutto di parola; un racconto che si fa azione, un’azione in cui è, comunque, la parola a giocare un ruolo di assoluto primo piano. 
Da segnalare anche l’impianto scenico di Daniele Spisa: una serie di nere quinte mobili che scorrono su binari ad aprire varchi nella memoria (quella collettiva).

Pubblicato in «Il Nuovo Giornale di Bergamo», 8 marzo 2001.
 

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