Il gioco che unisce
Il bancone, quindi, traccia una linea di separazione; un confine tra i corpi.
Uno sbarramento che pare invalicabile, ma che, in un paio di occasioni, sembra vacillare.
Da una parte, dunque, il portiere di notte.
Figura fisicamente presente, ma mentalmente assente: annoiato e insonnolito.
Dall’altra parte il cliente.
Un giocatore d’azzardo incallito che sostiene di aver visto tempi migliori, ma che, ora, è costretto, da una fortuna avversa, a sbarcare il lunario.
A tentare di oltrepassare la barriera-bancone ci prova il cliente che racconta al neoassunto portiere di notte di Hughie, il vecchio portiere, deceduto da poco a causa di una malattia.
Un lungo “canto funebre” che traccia di Hughie il ritratto di un uomo scialbo e senza qualità.
Ma non è tanto quello che di Hughie racconta che interessa: il vero fulcro dell’azione è la “manovra di accerchiamento” messa in atto dal cliente.
Un assalto realizzato con le parole.
Con la fascinazione del racconto di una “terra promessa”, popolata da bionde mozzafiato e vincite al gioco milionarie.
E, in una società che si fonda sul denaro, è proprio l’idea dei soldi facili a suscitare l’interesse del neo-portiere di notte.
O, meglio, l’idea che quel denaro possa arrivare giocando.
Ed ecco, allora, che i dadi (ossia il gioco) compiono “il miracolo”: la barriera si infrange e i due corpi si ritrovano dallo stesso lato della barricata…
A portare in scena al Teatro Out Off di Milano l’atto unico Hughie di Eugene O’Neill è Roberto Trifirò che, oltre a firmare traduzione e regia, veste, in modo assai convincente, i panni del cliente.
Al suo fianco un altrettanto credibile Claudio Lobbia, nel ruolo del neoassunto portiere di notte.
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