La luna e i falò

Cesare Pavese scrisse il romanzo La luna e i falò nel 1950, anno del suo suicidio, ma, contrariamente a quanto potrebbe far pensare l’atto estremo che Pavese compì, l’ultima sua storia non parla della ricerca della morte, ma di quella della vita: ricerca delle proprie origini, ma anche ricerca di una vita diversa, migliore. 
L’io narrante del romanzo, infatti, torna al paese dove è cresciuto perché vuole ritrovare le proprie origini, origini di «bastardo». Egli è assolutamente consapevole di non essere materialmente nato in quel paesino, ma lì torna, perché è lì che sente di essere veramente a casa. Lì ha passato un’infanzia difficile (per la miseria, per la propria condizione di «bastardo», per il duro lavoro di contadino praticato fin da subito); da lì è fuggito al raggiungimento della maggiore età in cerca di una vita migliore, ma lì torna, spinto dalla necessità di riallacciare il legame che lo unisce alla “sua” terra. Un legame cementato dal ricordo. 
Una terra che Leopardi avrebbe definito “matrigna”. Essa, infatti, non è benevola verso gli uomini, ai quali nulla regala: tutto è frutto di una dura e interminabile fatica. 
Il ritorno è momentaneo: è quello delle vacanze. Ma è un ritorno vissuto intensamente, a piene mani. In paese, l’io narrante ritrova l’amico d’infanzia, quel Nuto che è il co-protagonista della Luna e i falò, quel Nuto che ha passato la propria giovinezza suonando nelle feste di paese e che ora è un adulto consapevole, un uomo di sinistra che sogna un mondo migliore, più giusto, un mondo nel quale gli uomini non siano lasciati nell’ignoranza a viver come bestie. Un mondo dove non ci sia più violenza. Un mondo tutto da costruire quello di Nuto, per dare a tutti una vita migliore.
Invece, nel mondo reale, la violenza c’è e c’è sempre stata. Il mondo-paese nel quale il protagonista è tornato è un mondo dove, ad esempio, un ragazzino con un handicap subisce le violenze del proprio padre che non esita a prenderlo a cinghiate. 
È sì un mondo che può ancora romanticamente e in modo superstizioso credere ai benefici influssi della luna e dei falò, ma è anche un mondo dalle viscere del quale emergono dei cadaveri. Cadaveri di soldati della Seconda Guerra mondiale, da poco conclusa, che sono, per la comunità, come delle ferite non rimarginate. 
Una società, quella del paese, che, nel suo piccolo, riproduce quella nazionale, ancora divisa e lacerata della contrapposizione tra neri e rossi. E, la cieca violenza non risparmia nessuno, neppure i ricchi, i padroni: anche loro fanno una brutta fine nel mondo reale… 
Ma se la realtà è dura, il sogno di Nuto, forse, può ancora scalfirla o, addirittura, ammorbidirla, tanto è vero che, al termine della vacanza, Nuto (nonostante tutte le sue contraddizioni) si prenderà in casa proprio quel ragazzino con l’handicap ormai diventato un orfano. Il sogno di un mondo solidale prende, dunque, concretezza e proprio grazie a Nuto. Una vita migliore – sembra dire La luna e i falò – è possibile, nonostante il passato, nonostante il presente.

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