Il viaggio di Marco Sutti nell'Io

Nella raccolta poetica La rosa della percezione, edita da Lulu, Marco Sutti compie un viaggio in se stesso doloroso e liberatorio al tempo stesso.

Un viaggio di conoscenza di sé, durante il quale, progressivamente, abbandona le sovrastrutture, per giungere alla verità, all’essenza.
Un viaggio che lo porta a scrivere, nel testo in prosa Pseudo-nuova filosofia che chiude il volume,
Sono tornato a me stesso. Io non sono un ingegnere. Ho solo studiato ingegneria. Dirò di più. Io non sono nemmeno Marco Sutti. Io mi chiamo Marco Sutti.
Via tutte le costruzioni, via tutte le etichette dell’umanità a me pregressa. Via tutto!
Io sono io 
Si è detto che il percorso di Sutti è doloroso: le poesie svelano che il Poeta conosce la depressione («il male oscuro») che è presenza concreta anche quando è assenza («anche quando il dolore scompare, | non scompare il ricordo del dolore.»)
Ma è anche un percorso di liberazione. Se non dalla depressione, certamente dalle sovrastrutture di ogni genere, causa di allontanamento del Poeta dal suo vero Io e dalla Vita.
Sovrastrutture che pare di scorgere anche nella forma metrica con cui sono scritti i primi componimenti poetici: uno stile che sorveglia il verso e che dalla metrica pare volere qualcosa che essa raramente può dare, ovvero appagamento. Come se il Poeta, aderendo a uno stile riconoscibile (una sovrastruttura letteraria), si sentisse in diritto di definirsi Poeta ed essere riconosciuto come tale, traendone da ciò appagamento.
Ma presto tale stile cambia, quasi repentinamente diviene personale e moderno. Libero dalle sovrastrutture letterarie e, perciò, vero.
Un verso che svela e non nasconde.
Ed è sorprendente il mutamento (di cui Sutti è pienamente consapevole, tanto da parlarne in una poesia), specie se si tiene conto che i componimenti raccolti in volume sono stati scritti tra il giugno del 2010 e l’ottobre del 2012. Due anni appena che hanno - evidentemente - profondamente influito sul Marco Sutti uomo e poeta. Due anni in cui si è liberato dalle sovrastrutture.
Ad ogni modo, sia che usi metri della tradizione, sia che si liberi dai modelli, i versi di Sutti colpiscono. Sono spietati, crudi, ma anche teneri. Parlano del desiderio d’amore; delle delusioni; delle ambizioni; della sofferenza... Parlano di alienazione e di lotta. Sforzi per resistere al dolore. Voglia di guarire.
Non c’è facile ottimismo nei versi di Sutti. C’è consapevolezza. E se - verso la fine del viaggio - Sutti può scrivere
Ora ho capito,
Non ho bisogno di sentirmi amato
Ho solo bisogno di amare
Il bene migliore viene dal dentro,
questo è quanto ho imparato vivendo.
(Ora ho capito)
il lettore sa che tale consapevolezza è reale, perché preceduta da versi di terribile scoramento quali
Questa mattina
la vita m’è caduta
nello scarico
della doccia.
(Questa mattina)
e/o dal distico «Il male peggiore viene dal dentro: | questo è quanto ho imparato morendo.» (Mantieni intatto il tuo muro di vetro).
Un libro, quello di Sutti, di cui si consiglia la lettura.

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