Finzioni a corte

La Maria di Rohan di Salvadore Cammarano e Gaetano Donizetti è opera dalla musica piacevole, ma poco conosciuta.
La storia è ambientata nella Francia del cardinale Richelieu e mette al centro la figura di Maria, contessa di Rohan, moglie - dalla dubbia fedeltà - del duca Enrico di Chevreuse. 
Nello specifico, il testo narra del triangolo, dall’esito tragico, che vide come protagonisti di una storia di amicizia e corna gli stessi Maria ed Enrico e, con loro, Riccardo, conte di Chalais. 
Il finale, si è detto, è tragico, ma, a differenza di altre opere donizettiane, Maria non impazzisce.

Dopo una prolungata assenza, Maria di Rohan è tornata sui palcoscenici del Teatro Donizetti di Bergamo con un’edizione non del tutto felice, a causa, soprattutto, di un cast canoro che ha fatto storcere il naso (non a torto) a più di uno spettatore presente in sala.

A salvare e rendere piacevole la serata la regia di Roberto Recchia che ha saputo far recitare i cantanti e ha ambientato la vicenda in una scena spoglia ma assai significativa. 
Essa, opera di Angelo Sala, si componeva di pochi ed essenziali arredi (qualche statua e una panchina al Primo Atto; una scrivania e delle sedie nei restanti Atti) e, sul fondale, di un quadro la cui cornice dorata diventava via via sempre più sbilenca. 
Al centro del palco fortemente inclinato, un gorgo. 
La scena era, quindi, nel Primo Atto un cortile del Palazzo del Louvre e, nel Secondo e Terzo Atto, rispettivamente gli appartamenti del conte Riccardo e del duca Enrico.

Colpo di teatro interessante: il quadro raffigurante le sale e i corridoi del Louvre è praticabile. 
È nel quadro che Maria si nasconde; è dal quadro che Enrico fa fuggire Riccardo e, infine, è nel quadro che Riccardo muore. 
Scelte che fanno riflettere e che, forse, rimandano alla finzione: la finzione dell’aristocrazia di corte ancorata ai suoi mortali rituali di difesa dell’onore; le finzioni d’amore di Maria nei confronti sia del marito (che finge di amare), sia dell’amante (che finge di non amare); la probabile finzione di Enrico a proposito della morte del rivale Riccardo e, più in generale, la finzione dei potenti che si auto-rappresentano e celebrano eterni, solidi e grandiosi grazie alle fughe prospettiche (pittoriche e architettoniche), ma, di fronte ai pericoli, se ne hanno l’occasione, fuggono attraverso passaggi segreti...

Una serata, si diceva, piacevole, ma che non ha mancato di sollevare più di un malumore nel pubblico. 
Gli interpreti canori, più che farsi apprezzare per la loro voce, infatti, si son fatti notare per la recitazione.
Majella Cullagh (Maria) e Salvatore Cordella (Riccardo) non hanno brillato. 
Diversa prova di sé, invece, ha dato Marco di Felice (Enrico), giustamente salutato, al calar della tela, in modo assai caloroso dal pubblico che, invece, si è mantenuto tiepido con il resto del cast.
Dirigeva l’orchestra il Maestro Gregory Kunde.

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