Risorge la Maria Stuarda di Donizetti


La Maria Stuarda di Giuseppe Bardari e Gaetano Donizetti prodotta dal Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti e dal Teatro Sociale di Rovigo e presentata al Teatro Donizetti di Bergamo per la assai apprezzata direzione d’orchestra del Maestro Sebastiano Rolli e la bella regia di Federico Bertolani è spettacolo di rara bellezza.
Chi scrive ha assistito alla replica di domenica pomeriggio e, al coro del Secondo Atto (quello in cui si descrive il patibolo costruito per Maria Stuarda), si è emozionato al punto che non ha potuto evitare le lacrime.
Un coro eseguito in modo tanto eccezionale (sia dal punto di vista vocale, sia da quello della mimica scenica) che il pubblico ha chiesto a gran voce il bis (che è stato concesso).
Ma non è stato solo il Coro ad aver cantato in maniera splendida. 
Le due protagoniste, Majella Cullagh (nel ruolo del titolo) e Josè Maria Lo Monaco (Elisabetta) sono state assolutamente strepitose. 
E se si scrive strepitose è perché hanno dimostrato di poter rendere vocalmente una parte difficile come quella scritta da Donizetti in modo assolutamente egregio. 
Bravissime sia a livello vocale (dalla dizione esemplare e dalla voce limpida e sicura), sia dal punto di vista scenico: due vere attrici, oltre che cantanti.
Assai convincente anche Mirco Palazzi nel ruolo di Talbot.
Bravi gli altri, chi più chi meno, ma sempre assolutamente all’altezza.
Molto bella la regia che ha creato movimenti scenici assi comunicativi ed emozionanti. Una regia che ha fatto recitare bene i cantanti e ha reso il Coro un vero e proprio personaggio.
Inoltre, la regia ha esaltato il tema dell’opera: la lotta di Potere che è anche lotta tra due donne innamorate dello stesso uomo.
Il regista ha mostrato visivamente il Potere sia per mezzo della scena assai bella di Giulio Magnettosia per mezzo dei costumi, altrettanto belli, di Manuel Pedretti
Questi ultimi erano tutti di colore scuro, tranne quello bianco di Maria Stuarda che, nel primo tempo, è identico a quello di Elisabetta. 
Ma quest’ultimo vestito, man mano che il Potere di Elisabetta si consolida, diventa via via sempre più sfarzoso, fino al punto massimo, quando la Regina può affermare soddisfatta «Risorge il mio poter».



La scena è elemento chiave della regia: essa pone al centro del palcoscenico un enorme cubo nero sul quale è posato di schiena il trono di Elisabetta.
Il cubo non è solo incarnazione del Potere (oltre che essere prigione per Maria Stuarda): esso è un grumo nero che si scioglie (aprendosi e diventando bianco) solo quando in scena c’è Maria Stuarda che, nell’opera di Donizetti, è figura positiva (mentre, la nera Elisabetta più volte è definita “tiranna”). 
Ma il grumo si ricompatta e solidifica quando Elisabetta manda a morte Maria Stuarda. Non c’è più speranza... il nero (il Male) ha inghiottito il bianco (la speranza).
Uno spettacolo - si ripete - di rara bellezza e intensità che, al calar del sipario sull’ultimo Atto, è stato salutato dal pubblico presente in sala con una standing ovation. Meritatissima.

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