Quando l'arte è troppo astratta...




Quando l’arte è troppo astratta può generare incomprensioni in chi la guarda e ne parla con gli amici. 
Incomprensioni che, col tempo, possono diventare risentimenti. 
Se, poi, tali risentimenti vengono covati per anni, alla prima occasione possono scatenare veri e propri furiosi litigi. 
Questo è quanto accade in Art di Yasmina Reza, celebrata autrice del Dio della carneficina.
Nel testo dell’autrice francese tre amici di lunga data arrivano ai ferri corti quando uno di loro acquista per 200000 euro un quadro tutto bianco. 
Tra invidie, gelosie, sarcasmi, ironie e non detti, i risentimenti che hanno covato per anni sotto le ceneri prendono fuoco e divampano. 
I tre si fronteggiano in una lotta che, di volta in volta, li vede tutti contro tutti o due contro uno o, anche, due che lottano con il terzo che tenta di far da paciere. 
Il campo in cui si combatte tra la ricerca costante di alleanze, ben presto, travalica quello mondano dell’arte e della cultura classica, per invadere quello delle scelte personali e della vita privata. 
La lotta, quando gli amici arrivano a dirsi che la loro amicizia è giunta al termine, diventa senza esclusioni di colpi e, dalle parole, si passa ai fatti.

Un testo, quello della Reza, scritto assai bene e, seppure lo spunto iniziale (l’acquisto del quadro completamente bianco) possa sembrare paradossale, in esso le dinamiche dell’amicizia maschile sono descritte assai bene: cameratismo, competizione, difficoltà nell’esprimere i sentimenti, fratellanza...

Lo spettacolo portato in scena da Giampiero Solari è tutto affidato ai tre attori in scena: i bravi e trascinanti Alessandro Haber, Alessio Boni e Gigio Alberti
Haber dà vita a un uomo accomodante cui tutti possono dire tutto e che, quando tenta di fare da paciere, diventa capro espiatorio. 
La sua recitazione è caratterizzata da una gestualità che palesa una costante inquietudine e non accettazione di sé da parte del suo personaggio. 
Boni veste i panni dell’irascibile acquirente del quadro che, al culmine dell’adorazione per l’artista, arriva ad affermare che il quadro non è bianco. 
La sua è una gestualità da uomo di mondo che non siede sulla poltrona, ma vi cade adagiandosi e parla di Seneca come se fosse l’ultimo autore pubblicato in libreria.
Alberti impersona i panni del nevrotico amico che si sente tradito dalle scelte e dai gusti dei suoi amici.
La sua è una gestualità trattenuta, tipica delle persone che sanno che possono esplodere da un momento all’altro e, per questo, si controllano costantemente.
L’affiatamento tra i tre interpreti è palpabile e dà vita a uno spettacolo dai tempi comici perfetti e dai ritmi serrati.
Lunghi e meritati applausi al calar della tela.

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