Filumena Marturano, uno dei pochi classici moderni
La regia di Francesco Rosi della Filumena Marturano di Eduardo De Filippo (1900-1984) desta qualche perplessità: essa, infatti, impone agli attori delle prolungate fissità che mal si conciliano sia con la dinamicità del Teatro (che è parola in movimento), sia con la situazione posta in essere dal testo che è di grande conflittualità.
Si nutre, nello specifico, qualche dubbio sul fatto che una “vaiassa” come Filumena, mentre litiga, possa restare ferma e composta per lungo tempo...
Ma non è solo lei a restare immobile: i quadri voluti da Rosi coinvolgono tutti i personaggi in scena e si animano un po’ (ma non troppo) solo nel Secondo Atto.
La situazione visiva creata da Rosi è risultata, nel complesso, un po’ irreale, decontestualizzata.
Un segno che non deve essere lasciato cadere, data l’esperienza del regista, ma che non pare corrispondere appieno con la drammaticità della pièce.
Un testo, la Filumena Marturano, che è uno dei pochi classici moderni che l’Italia abbia.
Un dramma che rivela in profondità un senso di profondo disagio nutrito dall’autore per una questione assai spinosa per l’epoca in cui Eduardo è cresciuto: quella dei figli di “nn”.
Indubbiamente, come ebbe a definirla Peppino De Filippo, quella in cui l’Autore crebbe era una “famiglia difficile” e non solo e non tanto perché si trattava di una “famiglia d’arte”, ma soprattutto perché era indubbiamente una famiglia atipica e, in qualche modo, sovra-esposta data la fama del capostipite: Eduardo Scarpetta.
I De Filippo, infatti, erano figli naturali del grande attore (e di Luisa De Filippo, sarta teatrale)...
Tre figli, come tre sono i figli di Filumena...
Un parallelo che non è mai sfuggito e che sembra prendere corpo di volta in volta in presenza delle emozioni che la pièce riesce sempre a suscitare nel pubblico, benché la trama sia arcinota.
Segno anche che il tema della famiglia è assai sentito in Italia...
A trasmettere le emozioni agli spettatori bergamaschi presenti ieri sera al Teatro Donizetti ci hanno pensato soprattutto Lina Sastri (nel ruolo del titolo) e Luca De Filippo (in quello di Domenico Soriano).
Una coppia d’attori bene assortita e credibile.
De Filippo è stato un Soriano composto e rispettabile, come si addice al personaggio che appartiene a una famiglia “bene” della Napoli di un tempo; mentre la Sastri ha dato vita a un personaggio dalla dizione sguaiata che, però, è, in qualche modo, capace di controllarsi, data anche la lunga permanenza in una casa come quella dei Soriano.
Al loro fianco una Compagnia che non è parsa brillare.
Merita una menzione solo Antonella Morea nel ruolo della vecchia Rosalia Solimene.
Uno spettacolo, ad ogni buon conto, che vale la pena di essere visto.
nel complesso la rappresentazione mi è piaciuta. La trama ha un significato profondo e sempre attuale: i figli. Non solo figli di nn, ma "tutti i figli sono uguali": sfido un genitore qualsiasi, che abbia più di un figlio, a dirmi che si è sempre comportato in maniera identica con tutti i figli.... Tu parli di"fissità": forse hai ragione, ma Filomena è si una donna del popolo, ma composta e dignitosa, non scarmigliata e "caciarona" come le napoletane del popolo (mi si perdoni il modo di esprimermi). Non l'ho vista come una fissità, ma come un atteggiamento composto, della persona povera ma orgogliosa, dignitosa e battagliera. E' diverso, secondo me. De Filippo non mi è piaciuto molto, al di là della raucedine sua (povero!), ma non mi è mai piaciuto molto come attore. Io suddivido gli attori in due categorie: quelli che si immedesimano nel personaggio e sono molto naturali nel recitare (v. Lina Sastri) e gli attori che fanno gli attori. "Senti" se sono veri o finti....Il tono è asettico, composto, distaccato....mi spiego? De Filippo h asempre avuto il complesso del padre, ma non lo trovo molto "caldo" quando recita. I figli? beh...poveri...si sono trovati alla loro età a conoscere improvvisamente e, forse, in maniera un po' rocambolesca, sia la madre che il padre, non si poteva pretendere che fossero "sciolti"!
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