Intensi naufragi

Naufragi di Don Chisciotte di Massimo Bavastro, regia di Lorenzo Loris, scene e costumi di Emanuela Pischedda. Con Gigio Alberti e Mario Sala. 
Visto all'Auditorium di Piazza della Libertà a Bergamo il 24 marzo 2004.

I naufragi raccontati da Massimo Bavastro sono quelli di una coppia di amici, entrambi malati mentali che credono di essere l'uno il cavaliere Don Chisciotte (Mario Sala) e l'altro il suo scudiero Sancho Panza (Gigio Alberti). 
Essi, rivivendo in chiave moderna le avventure descritte nel celebre romanzo di Cervantes, errano (nel doppio significato di vagare e di sbagliare) a cavallo di una bicicletta, cercando Dulcinea in una discoteca e combattendo non più contro i mulini a vento (che oggigiorno andrebbero tutelati come beni culturali), ma contro rumorose trivelle tra i carruggi della città di Genova. 
Il testo di Bavastro è struggente, poetico e crudo e l'interpretazione dei due attori strepitosa, specie quella di Mario Sala che passa da toni tragici a toni esilaranti con impressionante scioltezza e naturalezza. 
Il suo personaggio rivela una lucidità che agghiaccia: nel suo delirio, infatti, riesce a descrivere il tormento vissuto dalla propria madre, una mater dolorosa che non sa darsi pace per avere un figlio matto (e commuove); ma, anche, raccontare la "cura delle acque" (benedette) cui viene sottoposto dalla madre (e si ride). 

Più sfuggente il personaggio interpretato da Gigio Alberti: è un Sancho Panza logorroico che vaneggia e lascia le frasi a metà (in modo che diventa difficoltoso seguirne il discorso) e che "guida" (come può guidare un matto) il suo cavaliere triste per le vie di una città sostanzialmente indifferente ai loro dolorosi vissuti. 

La regia di Lorenzo Loris è riuscita a rendere il testo in modo egregio, dando lo stesso peso ai momenti tragici e dolorosi e a quelli comici (ma è una comicità piena di disperazione). 
Il suo è uno spettacolo intenso, pieno di giusta tensione e che non è mai volgare, neppure quando i due attori si masturbano in scena e donano il loro seme al mare, nella speranza di poter lasciare un erede.

La scena di Emanuela Pischedda ricorda quelle di Appia fatta com'è di un praticabile grigio e anonimo (ma che viene animato dagli attori).
Lunghi e insistiti applausi al termine dello spettacolo.

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