La scomparsa di Giuseppe Pontiggia
E' morto lo scrittore Giuseppe Pontiggia (ANSA) - ROMA, 27 GIU - Lo scrittore Giuseppe Pontiggia è morto nella sua casa di Milano. Era nato a Como nel 1934. Nel 1989 aveva vinto il premio Strega con ''La grande sera''. Tra le sue opere più note ''L'arte della fuga'' (1968) e ''Nati due volte'', vincitore del Campiello nel 2001 e da cui il regista Gianni Amelio stava preparando un film. 2003-06-27 - 11:35:00 © Copyright ANSA Tutti i diritti riservati
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Ho avuto la fortuna di poter presentare il romanzo Nati due volte a Bergamo alla presenza dell'autore. In quell'occasione ho scritto due recensioni del romanzo e ho avuto modo di apprezzare Giuseppe Pontiggia non solo come grande scrittore, ma anche come persona disponibile, cortese: un Signore con la S maiuscola. Di lui ho conservato una lettera che mi ha scritto dopo aver letto una delle mie recensioni al suo libro. Di seguito riproduco sia la lettera, sia l'articolo.
Milano, 4 giugno 2001. Caro Ruocco, le sono grato della sua lettera e della nuova recensione. Anche questa, nel suo taglio efficace, è precisa e utile al lettore. Cosa rara. A presto. Le mando i miei auguri e i miei saluti più cordiali. Giuseppe Pontiggia
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Nati due volte
Di Danilo Ruocco, in «Bottega del Volontariato – Note & Notizie», n. 10, maggio 2001.
Ho sempre immaginato il volontariato - senza conoscerlo, naturalmente, solo la non-conoscenza favorisce la certezza - un punto di intersezione tra la vocazione mancata e la consolazione di sé. Finché ho conosciuto amici e amiche di Paolo. Questi giovani che lo accompagnano nelle pizzerie, nei cinema, nei negozi di dischi usati, […] sono gentili, misurati, discreti. Non si aspettano doni né ringraziamenti. E danno non solo aiuto, ma ciò di cui gli uomini hanno più bisogno quando non la sentono mai, la simpatia.
Tali belle parole di riconoscimento per il lavoro assiduo e silenzioso svolto dai volontari italiani, si leggono alle pagine 215-216 del romanzo Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, edito da Mondadori. Il Paolo di cui si parla è il figlio disabile del protagonista, il quale, in prima persona, racconta ai suoi lettori cosa voglia dire essere un padre di un giovane disabile.
Il romanzo è un lungo flashback che, tramite una serie di capitoli, a volte brevissimi, descrive il "calvario" di una famiglia di un disabile dal momento in cui il bimbo nasce a quando si fa adulto.
Il racconto è - se così si può dire - narrato dall'interno: Pontiggia, infatti, ha un figlio disabile e ciò lo ha indubbiamente favorito (!!) per quanto attiene alla conoscenza dei problemi. Il suo, però, non è un romanzo autobiografico con toni patetici o, peggio, autocelebrativi (i traguardi tagliati da Paolo nei suoi miglioramenti, infatti, non sono mai celebrati come conquiste dei familiari).
Si riconosce, invece, nella narrazione, una rabbia sommessa ma costantemente presente, contro medici e rappresentanti delle istituzioni (a partire da quelle scolastiche), associata a ironia, sarcasmo, sdegno (spesso espressi sotto forma di veri e propri aforismi).
Per il proprio figlio, il protagonista nutre un sentimento d'amore sincero, unito alla classica ansia da padre, aggravata dalle comprensibili preoccupazioni per il futuro problematico del figlio disabile.
Due parole per spiegare il titolo di questo duro, coinvolgente e bellissimo romanzo di Pontiggia: i disabili, spiega un medico (uno dei pochi visti dall'autore con simpatia) alla giovane coppia di genitori «nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare.».
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