Watson non è l’unico



Ciò che salta subito agli occhi de Il taccuino di Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle è la molteplicità dei narratori che ricostruiscono le gesta del noto investigatore: oltre al solito Watson, infatti, a raccontare ci sono lo stesso Sherlock Holmes e, anche, un narratore non identificato (l’Autore stesso?).


Altro dato che si impone all’attenzione del lettore è che Watson non è stato l’unico assistente stretto di Holmes: infatti, dopo che il dottore si è sposato e si è trasferito sotto il tetto coniugale, Holmes si è messo in casa un ragazzetto sveglio di nome Billy e ha iniziato a collaborare con un ex galeotto di nome Shinwell Johnson.

Watson entra in scena, nei racconti della raccolta, solo quando espressamente chiamato in causa da Holmes; altrimenti ne resta escluso.


Si ha quasi l’impressione che Conan Doyle abbia voluto sperimentare altre vie narrative, prima di mandare definitivamente in pensione quell’investigatore che anni prima aveva tentato di far morire (eroicamente).


Una sperimentazione, però, che non pare aver avuto alcun effetto nella memoria collettiva: Watson e Holmes sono indissolubilmente legati l’un l’altro, quasi fossero una coppia di fatto.


Un volume di racconti che non aggiunge, né toglie nulla al mito di Sherlock Holmes. 

Mito che, per sua stessa ammissione, ha non poco infastidito Conan Doyle che, come già ricordato, aveva anche tentato di sbarazzarsi del popolarissimo personaggio.


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