Le dive fautrici del cambiamento
Lyda Borelli, Francesca Bertini, Isa Miranda, Valentina Cortese, Anna Magnani, Clara Calamai, Silvana Mangano, Alida Valli, Giulietta Masina, Lucia Bosé, Giovanna Ralli, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Virna Lisi, Claudia Cardinale, Monica Vitti, Stefania Sandrelli, Mariangela Melato, Ornella Muti, Laura Morante, Giovanna Mezzogiorno…
Il catalogo della mostra Dive. Donne del cinema italiano a cura di Antonio Azzalini e Fabio Di Gioia (edito dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e DROPS Comunicazione) è, prima di tutto, una gioia per gli occhi. Quelle su nominate, sono solo alcune delle attrici (belle e brave) i cui ritratti da diva vengono pubblicati a tutta pagina in tale pubblicazione.
Una gioia degli occhi che si fa, però, anche materiale su cui riflettere: un grande come Roland Barthes sicuramente avrebbe saputo cogliere i tratti comuni di questi ritratti fotografici. Forse avrebbe posto l’accento su una posa ricorrente; un certo modo di guardare l’infinito fuori campo o, spavaldamente e sensualmente, direttamente lo spettatore; una certa propensione a non ridere apertamente, ma, al massimo, sorridere.
Ecco, ciò che colpisce forse più di ogni cosa nei “ritratti da studio” riprodotti è che, al di là di rare eccezioni, le nostre dive non ridono. Al massimo, appunto, sorridono, ma più spesso hanno una certa tristezza negli occhi.
Altra cosa, invece, sono le foto scattate sul set: esse mostrano le espressioni che tali dive donavano ai personaggi da loro resi vivi. Basti ricordare solo la ciociara della Loren e si avrà un quadro chiaro di quanto, alcune di tali dive, siano state attrici di grande livello.
La loro arte, la loro bellezza, come ricorda Fabio Di Gioia nel suo intervento, si faceva, nel Secondo Dopoguerra, anche ambasciatrice dell’Italia nel mondo: la nostra cinematografia era distribuita in molti paesi stranieri ed era considerata importante e meritevole d’elogi e ammirazione. Anche le nostre dive lo erano e molte di esse vennero chiamate a recitare accanto a divi internazionali sui set hollywoodiani. Un traguardo, ricorda Di Gioia, che in quegli anni da personale si faceva collettivo.
Dive, sottolinea il curatore, che hanno contribuito, con il loro lavoro, la loro immagine, il loro divismo, al miglioramento della condizione femminile in Italia e, con essa, il miglioramento della reputazione delle attrici medesime (prima considerate delle donne leggere, se non peggio). A tale proposito Di Gioia afferma:
Il cammino del divismo al femminile offre molte novità che emancipano la figura della donna rispetto all’icona domestica della madre di famiglia, fino a caratterizzare un’epoca nuova. Le dive sono la possibilità di un modello diverso. Sono donne che hanno successo in patria come all’estero e che guadagnano molto. Suscitano rispetto e venerazione.
Dive, quindi, che anticipano i tempi a aiutano il cambiamento. Strano, allora, che non ridano quasi mai. Forse il riso le renderebbe, agli occhi degli uomini (specie quelli pregni di machismo) meno fatali, meno inarrivabili, meno misteriose e più casalinghe e quotidiane. Meno dive, insomma.
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