L'urgenza del dire


Uscito nel 2011 nella collana “Inediti d’autore” del Corriere della Sera, Profezia di Sandro Veronesi è un piccolo gioiello.
In esso, Veronesi racconta gli ultimi mesi di vita di suo padre, morto (solo pochi mesi dopo la scomparsa della madre dello scrittore) a causa di un cancro che gli consuma il corpo.
Veronesi ricostruisce la fine del padre come se essa non fosse già avvenuta: la racconta al futuro, come si trattasse di una profezia (quella che dà il titolo al racconto). 
Una profezia dettagliatissima, quella di Veronesi, detta tutta d’un fiato; praticamente di corsa: il racconto è quasi del tutto privo di punti fermi e la punteggiatura, in questo caso, è segno di un’urgenza del dire. Come se l’autore volesse scaricare il (doppio) lutto nella pagina. Come se stesse raccontando le sofferenze del “padre suo” per alleggerire il proprio tormento e lo stesse facendo in preda a un’ansia d’avvertimento: una sorta di premonizione universale (ed ecco anche perché l’uso esclusivo del tempo futuro). 
Un destino comune a tutti i figli: quello di assistere alla morte dei propri genitori. Quello di essere curatori (testamentari) dei loro corpi e delle loro volontà. 
Una profezia, dunque, che, nonostante abbia un nome e cognome (Alessandro Veronesi), è rivolta a tutti.
Si è detto che Veronesi fa quasi del tutto a meno del punto fermo (pur usando il resto della punteggiatura). E, si è detto, che, per chi scrive, tale rinuncia è metafora di un’urgenza del dire, di uno sfogo del lutto dovuto alla perdita, quasi contemporanea, di entrambi i genitori. Ciò, sia detto per inciso, non impedisce a Veronesi di avere una lingua sorvegliatissima e un procedere narrativo di grande impatto emotivo.
In definitiva, Profezia è un racconto di strepitosa bellezza e toccante verità che si legge in un attimo.

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