Uno strepitoso chiacchiericcio

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La donna della domenica di Fruttero e Lucentini è un libro strepitoso che non risente il peso del passare degli anni (fu scritto nel 1972), seppure in esso sia descritta una Torino che non esiste più (per ovvie ragioni di sviluppo socio-urbanistico).
La Torino delle persone, però, quella – a grandi linee – c’è ancora (a giudicare dalle cronache). Una Torino di aristocratici, piccolissima borghesia impiegatizia e proletariato (o classe operaia che dir si voglia). Una Torino divisa tra l’accettazione e il rifiuto del diverso, sia esso il meridionale (detto “terrone” da coloro che sottolineano le differenze) o l’omosessuale (spregiativamente definito “cupio” da chi lo ritiene un deviato).
La donna della domenica è un libro strepitoso perché, prima ancora di essere un giallo, è un romanzo che ritrae, in modo smaliziato, un’intera società (quella torinese ma anche, a tratti, quella italiana).
I due autori, nello svolgimento del racconto, assumono, di volta in volta, il punto di vista dei vari personaggi, in tal modo riuscendo a caratterizzarli molto più precisamente che se venissero descritti da uno solo di loro (il commissario Santamaria, ad esempio). Ecco, allora, che un medesimo personaggio può essere definito in un modo o in un altro a seconda di quale dei comprimari stia parlando in quel momento; in tal modo passando, ad esempio, dall’essere un divertente e inoffensivo perditempo, all’essere uno schifoso pervertivo (come accade all’architetto Garrone).
E i personaggi del romanzo parlano molto. Un dialogato, il loro, ottimamente condotto dagli autori che dà vita a un chiacchiericcio che è il vero tratto distintivo del romanzo. Un chiacchiericcio nel quale, sapientemente, i due autori, di tanto in tanto, fanno sgocciolare qualche indizio utile per la risoluzione del giallo.
Un chiacchiericcio nel quale i due autori si insinuano con i loro commenti precisi, rifiniti da un uso gustoso della similitudine e della metafora in senso lato.
Un romanzo che, a buon diritto, è tra i classici del Novecento e il cui incipit* è degno della Virginia Woolf de La signora Dalloway (che, a giudizio di chi scrive, è uno degli incipit** più belli della storia della letteratura).
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*“Il martedì di giugno in cui fu assassinato, l’architetto Garrone guardò l’ora molte volte”.
** “La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei”.
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