Una recita lunga una vita


Portata sulle scene a Parigi per la prima volta nel 1897, la pièce Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand oggi non ha più molto da dire ai contemporanei e la scelta di rappresentarla nuovamente rivela (più che nascondere) una certa pigrizia mentale di molti nostri teatranti (e di molto, troppo, pubblico).

Una storia, quella messa in scena da Ronstand, che non sembra molto verosimile (a meno di non fare di Rossana una sorta di decerebrata), ma che, molto presumibilmente, è amata dai primi attori perché offre la possibilità di primeggiare sul palco a mo’ di vecchio capocomico.

Ciò premesso, va detto che lo spettacolo presentato ieri al Teatro Donizetti di Bergamo per la regia di Daniele Abbado ha confermato (semmai ce ne fosse stato bisogno) che Cyrano viene ancora accolto favorevolmente dal pubblico, specie se a impersonarlo c’è un grande attore.
Nei panni (Belle Époque) del guascone c’era Massimo Popolizio (sicuramente uno dei nostri attori più bravi) che ha saputo divertire gigionando (presumibilmente su indicazione del regista).

Una regia che ha puntato all’aspetto meta-teatrale del testo: Cyrano e Cristiano (Luca Bastianello), infatti, mettono in piedi una recita la cui unica spettatrice è Rossana (Viola Pornaro). 
Alla morte del bel Cristiano, Cyrano perdura la recita, fingendo per 14 anni che le sue parole fossero davvero state pensate (oltre che dette e scritte) da Cristiano.
Ecco, allora, che il regista, per mezzo della scenografia di Graziano Gregori, sottolinea di continuo il carattere meta-teatrale della pièce: tavolacci che diventano praticabili teatrali, siparietti che indicano i vari ambienti, arredi di scena mobili, praticabili sospesi in aria e recitazione del primo attore che, a volte, sembra mettere simpaticamente in ridicolo lo stile recitativo di Carmelo Bene e di Vittorio Gassman.
Ne risulta uno spettacolo piacevole soprattutto per la bella prova di Massimo Popolizio.

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