Contro Il Codice da Vinci

Il successo de Il Codice da Vinci di Dan Brown ha spinto molti studiosi a scrivere saggi pro o contro le tesi contenute nel romanzo. 
Tra gli studiosi che hanno “fatto le pulci” all’autore americano c’è José Antonio Ullate Fabo, giornalista spagnolo, autore del volume Contro Il Codice da Vinci edito da Sperling & Kupfer.
Nel libro l’autore è soprattutto attento a confutare le teorie che, nel romanzo di Brown, riguardano la dottrina della Chiesa Cattolica, anche se non mancano puntualizzazioni di carattere storico e artistico. 
Tali puntualizzazioni vanno da quella banale riguardante il titolo del romanzo di Brown (ovvero, si chiede il saggista, perché chiamare un codice “Da Vinci”, quando Leonardo è universalmente noto con il solo nome di battesimo e non con il luogo di provenienza – Vinci, appunto?), ad altre molto più serie, come quella che riguarda l’interpretazione iconica de L’Ultima Cena di Leonardo. 
A tal proposito il saggista risponde all’ipotesi secondo la quale alla destra di Gesù Cristo sarebbe stata dipinta la Maddalena e non San Giovanni, ricordando come Leonardo abbia ritratto il giovane discepolo con i canoni tipici del Rinascimento, ossia, essendo San Giovanni un adolescente, con
i capelli lunghi e sciolti <che> sono caratteristici degli uomini dell’epoca <il Rinascimento, appunto>, non delle donne, che Leonardo dipinge sempre con un velo o con un mantello che copre la testa (come la Gioconda o la Vergine Maria).
Ullate Fabo risponde punto per punto alle teorie anti-cattoliche di Dan Brown organizzando il suo libro in brevi capitoli, tutti di facile lettura, nei quali spiega al lettore quali sono le posizioni delle Chiesa di Roma e quali sono le verità storiche che l’autore americano ha stravolto o dimenticato, forse, a bella posta. 
Ogni capitolo si apre con la citazione del romanzo di Brown che il giornalista cattolico vuole confutare. 
Ovviamente, non è questo il luogo per ripercorrere tutti i capitoli del libro: è sufficiente citare solo alcuni brani per dare un’idea precisa del lavoro scrupoloso condotto da Ullate Fabo.

Saltando, quindi, la spiegazione data dal saggista del perché il monaco Silas sarebbe più simile a un musulmano dedito alla guerra santa, piuttosto che a un appartenente all’Opus Dei e, parimenti, saltando la spiegazione del perché il meridiano zero tanto importante per l’intreccio del romanzo non passò mai per Parigi, come invece sostiene Brown, ci si sofferma ora su un punto importante: quello che vorrebbe Leonardo un adoratore del culto della dea e un Gran Maestro del Priorato di Sion. 
Per Brown, Leonardo avrebbe riempito le proprie opere di indizi esoterici. Una delle opere simbolo del Codice da Vinci – oltre alla già citata Ultima Cena – è il ritratto della Gioconda noto anche con il titolo di Monna Lisa, per Brown «una sorta di linguaggio cifrato per chi era in grado di intenderlo». 
E, oltre al fatto che il volto sarebbe quello di un androgino (un essere mitico sia maschio sia femmina), per Brown un indizio importante per la corretta interpretazione del dipinto Leonardo l’avrebbe fornito nel titolo del quadro che sarebbe l’unione del nome del dio egizio della mascolinità Ammon e della dea egizia della femminilità L’Isa: Monna Lisa, sarebbe quindi l’equivalente di Ammon L’Isa. 
Contro tale interpretazione il saggio di Ullate Fabo diventa addirittura sarcastico: scrive infatti il giornalista spagnolo:

L’interpretazione esoterica della Monna Lisa è spassosa. C’è un particolare che deve essere sfuggito a Brown durante le sue ricerche. Leonardo non diede un titolo a nessuno dei suoi dipinti, quindi neanche alla Monna Lisa. Questo semplice dato vanifica le fantasiose speculazioni di Brown. Leonardo morì nel 1519 senza aver battezzato nessuno dei suoi quadri, e sei anni dopo, in un inventario, l’opera fu designata con il titolo generico con cui era nota: Ritratto di una dama fiorentina, probabilmente la moglie di un commerciante, Francesco del Giocondo, cioè la signora Lisa (Madonna Lisa, Monna Lisa).
Come si è detto, non è possibile qui ricordare tutti gli errori in cui Brown è incorso. Per usare le parole del saggista spagnolo «Il libro cede al primo attacco. Contiene così tante falsità che la dottrina di Brown viene screditata».

Già, la dottrina di Brown: ovvero quella che vorrebbe che Cristo (superati i 30 anni, ovvero abbondantemente fuori età per un ebreo dell’epoca) abbia sposato Maria Maddalena e abbia lasciato a lei la guida della sua Chiesa. 

Ma le volontà di Cristo sarebbero state stravolte dal maschilista Pietro che avrebbe preso il potere e perseguitato la Maddalena e la sua discendenza.
Il Santo Graal altro non sarebbe se non il corpo santo di Maria Maddalena. 
E per dimostrare che il Santo Graal non sarebbe il calice con cui Cristo celebrò la prima Eucarestia, ma, appunto, il corpo di Maria Maddalena, Brown chiama in causa ancora Leonardo e, di nuovo L’Ultima Cena, facendo notare l’assenza di calici nell’affresco. 
Ma, spiega Ullate Fabo, la mancanza del calice dalla scena è conseguenza del fatto che Leonardo non stava dipingendo l’Eucarestia (dove il calice è parte integrante dell’iconografia), né la lavanda dei piedi (altro rituale istituito durante l’Ultima cena), bensì sta riproponendo all’attenzione dei frati (e non delle monache come vorrebbe Brown) che gli avevano commissionato l’affresco il celebre versetto: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». Da qui segue lo sbalordimento degli apostoli magistralmente e teatralmente fissato e riprodotto da Leonardo nel suo affresco.

Insomma, José Antonio Ullate Fabo passa Il Codice da Vinci ai raggi X e spiega ai lettori molti fatti storici, non ultimo cosa successe davvero durante il Consiglio di Nicea del 325 (ossia la messa al bando dell’Arianesimo che non accettava la Santissima Trinità e non la messa ai voti della divinità di Cristo, come vorrebbe Brown) e quando è realmente stato fondato il Priorato di Sion: non nel 1099 su iniziativa di Goffredo di Buglione come detto nel romanzo, ma, più prosaicamente, il 7 maggio 1956 su iniziativa di Pierre Plantard. 
Costui era una persona dalla vita non proprio irreprensibile che, nel corso degli anni, ha dato versioni diverse sull’origine del Priorato di Sion, smentendole tutte e smentendo anche quanto scritto nel 1983 in The Holy Blood and the Holy Grial da Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln (trad. it. Il Santo Graal, Mondadori) a proposito dell’origine del Priorato di Sion, del matrimonio tra Cristo e Maria Maddalena e della «leggenda esoterica del paesino francese di Renne-le-Château e del prete Bérenger Saunière (1852 -1917)» che si diceva avesse lì trovato un misterioso tesoro. Tutti temi che si ritrovano nel Codice da Vinci di Dan Brown.

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