L’amor maschio è fanciullo

Scritto in pieno Seicento, L’Alcibiade fanciullo a scola attribuito (con buona ragione) a padre Antonio Rocco (lettore di filosofia e di retorica, nonché accademico Incognito, come dire un “libero pensatore”) è un dialogo, ovvero un genere letterario noto fin dall’antichità greco-latina (e non ignoto agli arabi) che imita un ragionamento tra due e più persone al fine di giungere a una dimostrazione
Ciò che nel libro uno dei due dialoganti, il venerabile maestro Filotimo (probabile portavoce dell’autore), vuole dimostrare all’altro, il fanciullo Alcibiade, è che l’amore pederastico (ovvero quello che unisce un maschio adulto attivo a un fanciullo passivo) è l’amore per eccellenza degli uomini saggi e raziocinanti (ossia di quegli uomini che più sono distanti dalle bestie). «L’amor maschio è fanciullo», tale è la tesi che va dimostrata.
Il dialogo, che molti spunti deve al Simposio di Platone (l’amante vuole il bene dell’amato e gli insegna a diventare un buono e saggio cittadino), è (ovviamente) scritto nell’italiano del Seicento che, ai non specialisti, può dare qualche difficoltà di comprensione. 
Se, però, si mette nel conto una certa “fatica” nella lettura, vale la pena seguire da vicino (e gustare) i ragionamenti del venerabile maestro, il quale, sia detto subito, vuole ottenere dall’allievo non solo la comprensione del concetto, ma anche e soprattutto la messa in pratica di ciò che è stato dimostrato…
E «l’incazzito» (ossia l’arrapato) maestro per poter giungere a mettere il suo «cannone» nel «giardino» del suo allievo, non risparmia il suo sapere che va dalla conoscenza dei classici greci e romani (il dialogo si finge ambientato nella Grecia di Pericle), a quella del testo biblico (e interessante risulta la spiegazione che si dà dell’episodio di Sodoma e Gomorra), non trascurando quella dei medici seicenteschi. Infatti Alcibiade, bellissimo e intelligente, pone al maestro domande specifiche non solo di ordine morale ed etico ma anche anatomico (il fanciullo gode o deve solo far godere?), ottenendo sempre una risposta appropriata (per le conoscenze dell’epoca) per quanto, a volte, paradossale e provocatoria, non meno che ironica (l’amore sodomitico è “contro natura” solo dal punto di vista lessicale e non anche da quello religioso: essendo l’apparato genitale femminile atto alla riproduzione chiamato “natura”, l’ano, che sta dall’altro lato, è definito “contro natura”!).
Al termine del ragionamento, Alcibiade, desideroso sia di ricevere dal maestro le conoscenze che lo renderanno un uomo saggio («Né è permesso a fanciullo alcuno diventar pari al suo maestro, se non per questa via […]» ammonisce Filotimo alludendo al rapporto anale), sia di fare una nuova esperienza («Però non sono lontano dal desiderio di questa prova, e attentamente vi ascolto» ammette Alcibiade), concederà le proprie grazie al maestro, restando soddisfatto dall’esperimento fino al punto «che non avendo il cazzo del suo maestro nel culo non sapeva cosa fusse dolcezze […]».

Molto ben articolata l’Introduzione di Laura Coci nell’edizione del testo edita da Salerno che – tra l’altro – si interroga sulla ragione per la quale L’Alcibiade fanciullo a scola abbia avuto una vicenda editoriale a dir poco complicata (dalla stampa clandestina, all’attribuzione a vari autori, fino alla distruzione delle copie). La studiosa risponde che essa va ricercata proprio nel fatto che il libro appartiene al genere del dialogo, del ragionamento: «l’iniziazione <di Alcibiade> è in primo luogo mentale, pertanto più profonda, indelebile, determinante rispetto alla vita futura del fanciullo». 

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