Le parole costruiscono muri

Federico Palumeri; Irene Ivaldi e Elio D'Alessandro


Le parole costruiscono muri, sillaba dopo sillaba; mattone su mattone.

Sono muri che entrano nella testa e non ne escono più.

Muri che definiscono le identità.

Come gli uccelli di Wajdi Mouawad, per la regia di Marco Lorenzi, parla di questi muri. Li mostra.


Si tratta di uno spettacolo intenso e coinvolgente, quello visto al Teatro Fontana di Milano, con un cast internazionale e un’ottima regia.

Gli attori sono tutti assai bravi e, oltre che con il testo in italiano, si cimentano anche con l’arabo, l’ebraico e il tedesco: la storia, infatti, prevede battute in lingue diverse che la regia ha scelto di porgere al pubblico nella lingua in cui sono previste dal testo, proiettando su un muro di sfondo la traduzione in italiano.


E, se al principio, si può credere che la proiezione del testo sia un “facile” espediente per aiutare gli spettatori a comprendere la storia, basta davvero poco per rendersi conto che quelle parole sono, letteralmente, non solo al centro della scena, ma della storia/Storia: esse, infatti, non si cancellano, ma si stratificano, sommandosi l’una con l’altra.

Sono quelle parole che costruiscono il muro su cui vengono proiettate.

Muro che prende forma, lasciando piano piano quella di schermo, e viene manovrato a mano dagli attori, che lo spostano a seconda delle esigenze sceniche.


Federico Palumeri


Quel muro diventa, via via, sempre più concreto e presente: gli attori vi ci si rivolgono, oltre che spingerlo per adeguarlo all’azione.

Quel muro è, a tutti gli effetti, un personaggio; o, meglio, una presenza di cui non si può fingere l’assenza.


Un convitato di pietra che all’inizio i giovani fidanzatini protagonisti della storia fingono non abbia importanza: nonostante lui sia ebreo e lei araba, infatti, sono convinti che l’Amore possa costruire ponti capaci di superare ogni ostacolo, ogni muro.

Ma, via via che il loro rapporto diventa più intimo, finendo per coinvolgere anche la famiglia di lui, i due fidanzati si rendono conto che quel muro identitario ha una solidità con la quale devono fare i conti…


E, se l’incontro con l’Altro può, in alcune circostanze, essere favorito dai moti del cuore e da una certa ragionevolezza, quando si realizza che si è l’Altro con tutto il patrimonio genetico e/o la storia/Storia che, volendo o nolendo, ci portiamo dentro, allora quel muro identitario fatto di parole riemerge in tutta la sua solidità, pronto a separare…


Si vorrebbe poter dire che l’Amore vince sempre, ma…


Come detto, a pronunciare le parole identitarie è stato chiamato un cast internazionale.

Piace fare il nome di tutti gli attori: il bravissimo Federico Palumeri è stato un intenso giovane Eitan; nel ruolo della nonna da anziana la straordinaria Irene Ivaldi; nel doppio ruolo della nonna da giovane e della soldatessa Eden la sempre brava Barbara Mazzi; Rebecca Rossetti era la madre di Eitan; Aleksandar Cvjetković il nonno di Eitan da anziano; Elio D’Alessandro il padre di Eitan; Lucrezia Forni la fidanzata di Eitan; Said Esserairi era Al Wazzân e Raffaele Musella era il nonno da giovane e altre parti di contorno.


Spettacolo da non mancare. 

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