L'Atlantide sottomarina di Conan Doyle


Arthur Donan Doyle, oltre a essere il creatore del leggendario investigatore Sherlock Holmes, è anche uno dei padri dei romanzi di fantascienza, variamente intesa.

Uno di questi, scritto tra il 1927 e il 1928, è The Maracot Deep (a volte tradotto in italiano come L’abisso di Maracot, altre come L’abisso di Atlantide) nel quale si raccontano le straordinarie avventure del professor Maracot e dei suoi due collaboratori Cyrus Headley (principale voce narrante) e Bill Scanlan durante gli ultimi mesi del 1926 e la prima metà del 1927.

Avventure che si svolgono sul fondo dell’oceano, in quel che resta di Atlantide.


Il continente perduto fu distrutto da un’immane catastrofe, alla quale un gruppo di uomini-giusti riuscì a sfuggire grazie alla costruzione di un’immensa “arca-rifugio” in grado di depositarsi sul fondo marino.

In tale enorme edificio vivono ancora i discendenti di quegli uomini ed è con loro che i tre protagonisti del romanzo vengono in contatto.

Sarà, la loro, un’avventura unica che, grazie a un espediente tanto semplice quanto provvidenziale, riusciranno a raccontare al resto dell’umanità che vive in superficie.


Non pare il caso, qui, di raccontare, anche solo per sommi capi, le avventure vissute dai tre sui fondali marini: meglio lasciare intatto al lettore il gusto della scoperta.

Vale, però, la pena riferire come alcuni dei dettagli raccontati dai protagonisti del romanzo di Conan Doyle relativamente ad Atlantide, siano ancora oggi ipotesi di studio da parte di quanti si interessano con continuità al “caso” Atlantide.


1. Innanzitutto la collocazione del continente perduto: tra le coste africane e le Canarie. 

Ancora oggi, molti di coloro che si occupano di Atlantide ipotizzano che il continente si trovasse tra le Canarie e le Azzorre, che potrebbero essere quanto resta in superficie del continente stesso.


2. Da Atlantide, si dice nel romanzo, vi fu anche chi fuggì verso l’Egitto e chi verso l’America Centrale.

Oggi c’è chi sostiene che le coincidenze che è possibile constatare tra la civiltà dell’Antico Egitto e quelle delle civiltà precolombiane potrebbero essere spiegate con l’esistenza di un continente oggi perduto (Atlantide, appunto) che, nel corso dei secoli, ha fatto da “ponte culturale” tra le due civiltà.


3. La civiltà di Atlantide - sempre secondo il romanzo - aveva raggiunto un progresso tecnologico superiore a quello attuale (attuale per Conan Doyle, ovviamente). 

E, di nuovo, oggi chi si occupa di Atlantide è propenso a credere che il livello di progresso raggiunto da quella civiltà fosse uguale o superiore al nostro.


Un romanzo, quello di Conan Doyle, che anche il lettore moderno può leggere lasciandosi trasportare dal gusto per l’avventura.


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