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Visualizzazione dei post con l'etichetta Maurizio Balò

Non c’è posto per me tra gente corrotta

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Il Misantropo di Molière per la regia di Massimo Castri è uno spettacolo di un’attualità sconcertante.  Infatti, il misantropo del titolo è tale perché si rifiuta di adeguarsi all’andazzo di una società corrotta, pettegola (oggi si direbbe gossippara), ipocrita e bigotta.  Alceste (il misantropo), infatti, è un uomo che non si adegua e che preferisce l’isolamento, piuttosto che scendere a dei compromessi tutt’altro che onorevoli. Inutile dirgli che così va il mondo: lui segue la sua strada, costi quel che costi.  Una dirittura morale che gli costerà cara: i potenti corrotti, infatti, non perdonano coloro che intralciano il loro cammino.  Alceste, però, nonostante la guerra che gli muove contro la società, resta un uomo specchiato. Lo spettacolo di Castri basa la sua riuscita su due elementi: la bravura degli interpreti e il forte simbolismo della scena di Maurizio Balò . La scena con gli specchi sollevati   Quest’ultima è composta da una sessa...

Trionfano i figli di Miller

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Un temporale accoglie gli spettatori di Erano tutti miei figli di Arthur Miller per la regia di Cesare Lievi ; un temporale notturno che si abbatte su uno strano giardino: un giardino che, in realtà, invece di essere fatto di piante e fiori, è evocato solo verbalmente dagli attori, essendo la scena, per tutto il primo atto, fatta da niente altro che da un enorme telo mimetico che copre qualcosa.  Ciò che il telo nasconde, verrà rivelato agli spettatori nel corso del secondo e del terzo atto: si tratta di un cimitero di aerei, di carcasse di velivoli della Seconda Guerra Mondiale.  Pezzi d’ala, eliche, carlinghe sventrate sulle quali gli attori camminano e siedono come se nulla fosse, proprio perché, per la loro finzione di personaggi, quello non è un cimitero, ma il giardino di casa Keller.  Una soluzione scenografica, quella di Maurizio Balò che, lungi dall’essere stravagante, ha un suo perché molto chiaro; una ragion d’essere che è il segno forte dello spettacolo di ...

La brocca rotta

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Il primo (e forse unico) segno forte di questa versione de La brocca rotta di Heinrich von Kleist è la scena disegnata da Maurizio Balò : un angolo di una stanza con una finestra enorme; il pavimento fortemente inclinato verso l’alto, il tutto incorniciato da un quadro scenico posto in sghimbescio. Il risultato è straniante: gli spettatori vedono gli attori continuamente salire e scendere per il palcoscenico.  Forse il meccanismo allude alla fatica che si fa per recuperare la verità di una vicenda apparentemente banale, ma che ne nasconde altre di maggiore spessore: ovvero l’indagine su chi abbia rotto, realmente , la brocca del titolo porta lontano, fino ai meccanismi che regolano la vita civile che si scoprono non proprio oliati a dovere…  Ovviamente, la brocca rotta, ed è allusione palese, rimanda alla verginità violata della figlia della proprietaria della brocca che sporge denuncia per danni contro il promesso sposo della figlia, colpevole, a suo avviso, di ...